Anche conosciuto come Persia, l’Iran è oggi uno dei più controversi e dibattuti paesi dove il tradizionalismo islamico si mischia a uno sviluppo tecnologico che, seppur lento, ha contribuito all’isolazionismo che tuttora affligge parzialmente il paese.
Culla di grandi civiltà come gli Assiri, grazie alla sua posizione geografica e alla ricchezza delle sue risorse, l’Iran ha da sempre ricoperto un ruolo chiave nel contesto politico mondiale. Durante l’età classica (V sec a.C.) l’Iran visse la sua massima espansione con l’impero achemenide che, guidato da Ciro il grande, controllava un territorio che spaziava dall’attuale India fino all’odierna Libia con capitale Persepoli.
La caduta dell’impero nel 334 a.C. a opera di Alessandro Magno segnò un profondo cambiamento per il paese che fu dominato da vari imperi ellenistici. Tra questi, i parti e i sasanidi ebbero un ruolo di particolare rilevanza e, per buona parte della loro storia, condussero guerre contro i romani per un totale di 700 anni. Nel medioevo la Persia, indebolita dalle guerre contro i romani, fu conquistata dai musulmani e iniziò il lento processo di islamizzazione del Paese, che diventò, durante l’epoca d’oro islamica (VII-XIII sec), fiorente centro di letteratura, filosofia e medicina nonché un crocevia delle rotte mercantili lungo la cosiddetta “via della seta”.
L’invasione mongola (1220 d.C.) guidata da Gengis Khan, portò devastazione nel paese che subì la perdita di 10-15 milioni di persone e frammentazione nel Paese. Quest’ultimo fu riunificato (1370 d.C.) da Tamerlano che, con efferata ferocia (si parla di numerosi episodi di violenza contro la popolazione locale), dominò per il successivo secolo e mezzo. Successivamente alla caduta dell’impero timuride, si alternarono numerose dinastie in Persia che modificarono usi, costumi e architettura delle città iraniane, che ancora oggi ne portano il segno. Tra queste, i safavidi (1501-1722), che con il re Abbas I promossero lo splendore di Isfahan, i cagiari (1729-1925), amanti dello sfarzo e poco propensi allo sviluppo democratico del paese, e i pahlavi (1925-1979), che non si opposero ma quasi promossero l’interferenze esterne, in particolare di Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica i quali erano perlopiù interessati a controllare l’area geografica e a sfruttarne le risorse naturali.
La corruzione su larga scala, le interferenze sulle scelte politiche ed economiche, che raggiunsero il culmine con il colpo di stato sostenuto dalla CIA meglio conosciuto come “operazione Ajax”, l’imposta occidentalizzazione del paese e il divario economico e sociale tra la popolazione e la classe dominante provocarono un malcontento generale che sfociò nella rivoluzione islamica guidata dall’Āyatollāh Khomeynī. Quest’ultimo, al tempo in esilio in Francia, diffuse, mediante registrazioni su audiocassette diffuse tra la popolazione, messaggi anti regime e tornò in Iran da vincitore il 31 gennaio del 1979. Da quel momento, la storia iraniana è stata segnata da guerre, come quella contro l’Iraq (1980-1988), crisi economiche, perlopiù legate a un isolazionismo imposto da sanzioni economiche occidentali, limitazioni delle libertà d’espressione e mancato rispetto di diritti civili.
Tuttavia, l’impressione che si ha parlando con gli iraniani è che ancora una volta la popolazione sia stanca della situazione socio-politica e sia desiderosa di cambiare la loro condizione. Questa volta però non si è in cerca di una rivoluzione, ma di cambiamenti costanti e moderati che portino ad una apertura verso il mondo esterno e ad una società più giusta e meno corrotta. D’altro canto però la classe dirigente sembra non considerare i desideri del popolo e la storia, come spesso accade, rischia di ripetersi.